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PMI Centro-Nord, ancora tanto spazio per il Private Capital. Ecco i numeri

Di seguito l’articolo pubblicato da BeBeez.it a commento dell’ultimo Rapporto PMI Centro-Nord 2019 realizzato da Cerved e Confindustria: un focus sul private capital, gli investimenti in economia reale, i numeri delle aziende italiane in target per fonti di finanza alternativa: tema approfondito dalla s.t.a. NEXTA e dal gruppo Banco BPM all’evento dello scorso 16 maggio a Milano.

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Si parla sempre più di private capital, di investimenti in economia reale e di incentivi fiscali attuali e potenziali agli investitori. Ma paradossalmente si sta perdendo il focus sull’universo investibile. Quali sono i numeri delle aziende italiane non quotate che potrebbero essere interessate a fonti di finanza alternativa? Sappiamo che sicuramente sono sottocapitalizzate, lo si dice da anni. Già ma di quanto? E quante hanno una vocazione all’internazionalizzazione? Agli investitori interessano tutti questi dati e soprattutto interessano dati aggiornati, non statistiche di anni prima.

L’ultima analisi completa sul tema è stata condotta di recente da Cerved insieme a Confindustria, scegliendo come punto di osservazione il Centro-Nord Italia (scarica qui il Rapporto PMI Centro-Nord 2019), dove sono concentrate le pmi  con ricavi tra 2 e 50 milioni di euro e che hanno tra 10 e 250 addetti:le imprese di capitali del Centro-Nord con queste caratteristiche sono 120 mila su un totale di 150 mila su base nazionale (l’80%). Eì lì, quindi, dove si realizzano più operazioni di m&a e di finanziamento allo sviluppo. La buona notizia è che il numero delle imprese sovraindebitate sta diminuendo , quella cattiva è che il rapporto medio tra debito finanziario netto e patrimonio netto è ancora troppo alto. E che nel 2018 la crescita registrata sino al 2017 ha subito una frenata, che sarà ancora più brusca nel 2019

I dati, relativi ai bilanci 2017, indicano che in media le pmi italiane quell’anno avevano un rapporto debito/equity del 60,2%, con una media per il Nord-ovest al 59,9% e per il Centro del 70,4%. Livelli comunque ben inferiori a quelli di 10 anni prima. Nel 2007 il rapporto tra debito finanziario netto e patrimonio netto era di ben il 111,5% per l’intera Italia e scendeva al 10,8% per il Nord-Ovest, ma saliva addirittura al 149,3% nel Centro. Insomma di strada in 10 anni se ne è fatta e a fine 2017 le imprese per cui i debiti finanziari superavano il doppio del capitale netto erano soltanto il 18,2% del totale.

Detto questo, resta il problema della concentrazione del debito sul canale bancario e resta la necessità di incrementare ulteriormente la capitalizzazione, attraendo nuovi investitori interessati a diversificare il proprio portafoglio sull’economia reale, quindi disposti a prendersi il rischio di una minore liquidità con il vantaggio di una minore volatilità del valore dei propri investimenti, unitamente al fatto che sono innumerevoli gli studi che dicono che nel lungo periodo il private capital batte in performance gli investimenti azionari quotati (si veda altro articolo di BeBeez). Peraltro il Roe ante imposte e gestione straordinaria è tornato a salire: la media italiana del 2017 è stata all’11,2% dal 10,9% dell’anno prima, dopo un recupero costante a partire dai minimi al 5,5% del 2012. Nel 2007 il Roe italiano medio era stato del 13,9%.

Certo, però, si diceva il 2018 non è andato così bene. Le stime relative all’andamento dei principali indicatori di bilancio per il 2018 (al momento di redazione del Rapporto i bilanci 2018 non sono ancora stati tutti depositati) confermano la frenata: in tutte le aree monitorate, rallenta significativamente la crescita del fatturato, del valore aggiunto, del mol. Secondo le previsioni di Confindustria e Cerved relative al campione di imprese analizzato, nel 2019 la crescita di fatturato e valore aggiunto dovrebbe dimezzarsi. Le conseguenze sulla redditività sarebbero evidenti: i margini crescerebbero con tassi intorno all’1% e la redditività netta tornerebbe a contrarsi. Gli indici di sostenibilità finanziaria dovrebbero confermare la stabilizzazione sui valori più recenti, con un peso degli oneri finanziari che torna (però) per la prima volta a crescere.

Questi dati sono stati lo spunto di nei giorni scorsi in occasione di un convegno organizzato a Milano da gruppo Banco Bpm e Nexta, la società tra avvocati e commercialisti nata lo scorso febbraio dall’integrazione di quattro studi professionali storicamente legate alle pmi del Centro-Nord Italia. All’evento hanno partecipato il presidente Giulio Cerioli, l’amministratore delegato Mauro Puppo, e il senior partner Marco Palmidessi di Nexta, oltre a Alessandro Varaldo e Massimiliano Nannetti, rispettivamente ad di Banca Aletti, responsabile coordinamento rete private banking; e Giuseppe Puccio, responsabile investment banking di Banca Akros.

Un parterre che stava a sottolineare il fatto che oggi sempre più spesso gli investitori in pmi sono a loro volta imprenditori o ex imprenditori, clienti tipici del private banking o, per dimensioni di patrimonio importanti, dei family office. Ma che, per portarli a investire è necessario che ci sia da un lato un consulente in grado di parlare la stessa lingua dell’imprenditore e che conosce le caratteristiche delle pmi e del territorio e dall’altro un supporto di finanza che sia in grado di affiancare investitori e imprese in occasione delle acquisizioni e dei progetti di sviluppo internazionali.

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